mercoledì 7 marzo 2012

Grecia e Italia ...un paradosso

La Grecia in bancarotta, taglia i diritti ma è costretta a comprare armi

I greci sono alla fame, ma hanno gli arsenali bellici pieni. E continuano a comprare armi. Quest'anno bruceranno il tre per cento del Pil (prodotto interno lordo) in spese militari. Solo gli Stati Uniti, in proporzione, si possono permettere tanto. Ma cosa spinge Atene a sperperare montagne di soldi? La paura dei turchi? No, è l'ingordigia della Merkel e di Sarkozy. I due leader europei mettono da mesi il governo greco con le spalle al muro: se volete gli aiuti, se volete rimanere nell'euro, dovete comprare i nostri carri armati e le nostre belle navi da guerra. Le pressioni di Berlino sul governo di Atene per vendere armi sono state denunciate nei giorni scorsi da una stampa tedesca allibita per il cinismo della Merkel, che impone tagli e sacrifici ai cittadini ellenici e poi pretende di favorire l'industria bellica della Germania.

Fino al 2009 i rapporti fra Atene e Berlino andavano a gonfie vele, il governo greco era presieduto da Kostas Karamanlis (centrodestra), grande amico della Merkel. Gli anni di Karamanlis sono stati una vera manna per la Germania. «In quel periodo - ha calcolato una rivista specializzata - i produttori di armi tedeschi hanno guadagnato una fortuna». Una delle commesse di Atene riguardò 170 panzer Leopard, costati 1,7 miliardi di euro, e 223 cannoni dismessi dalla Bundeswehr, la Difesa tedesca. Nel 2008 i capi della Nato osservavano meravigliati le pazze spese in armamenti che facevano balzare la Grecia al quinto posto nel mondo come nazione importatrice di strumenti bellici. Prima di concludere il suo mandato di premier, Karamanlis fece un ultimo regalo ai tedeschi, ordinò 4 sottomarini prodotti dalla ThyssenKrupp. Il successore, George Papandreou, socialista, si è sempre rifiutato di farseli consegnare. Voleva risparmiare una spesa mostruosa. Ma Berlino insisteva.

Allora il leader greco ha trovato una scusa per dire no. Ha fatto svolgere una perizia tecnica dai suoi ufficiali della Marina, i quali hanno sentenziato che quei sottomarini non reggono il mare. Ma la verità, ha tuonato il vice di Papandreou, Teodor Pangalos, è che «ci vogliono imporre altre armi, ma noi non ne abbiamo bisogno». Gli ha dato ragione il ministro turco Egemen Bagis che, in un'intervista allo Herald Tribune, ha detto chiaro e tondo: «I sottomarini della Germania e della Francia non servono né ad Atene né ad Ankara». Tuttavia, Papandreou, alla disperata ricerca di fondi internazionali, non ha potuto dire di no a tutto. L'estate scorsa il Wall Street Journal rivelava che Berlino e Parigi avevano preteso l'acquisto di armamenti come condizione per approvare il piano di salvataggio della Grecia. E così il leader di Atene si è dovuto piegare. A marzo scorso dalla Germania ha ottenuto uno sconto, invece dei 4 sottomarini ne ha acquistati 2 al prezzo di 1,3 miliardi di euro. Ha dovuto prendere anche 223 carri armati Leopard II per 403 milioni di euro, arricchendo l'industria tedesca a spese dei poveri greci.

Un guadagno immorale, secondo il leader dei Verdi tedeschi Daniel Cohn- Bendit. Papandreou ha dovuto pagare pegno anche a Sarkozy. Durante una visita a Parigi nel maggio scorso ha firmato un accordo per la fornitura di 6 fregate e 15 elicotteri. Costo: 4 miliardi di euro. Più motovedette per 400 milioni di euro. Alla fine la Merkel è riuscita a liberarsi di Papandreou, sostituito dal più docile Papademos. E i programmi militari ripartono: si progetta di acquisire 60 caccia intercettori. I budget sono subito lievitati. Per il 2012 la Grecia prevede una spesa militare superiore ai 7 miliardi di euro, il 18,2 per cento in più rispetto al 2011, il tre per cento del Pil. L'Italia è ferma a meno dello 0,9 per cento del Pil. Siccome i pagamenti sono diluiti negli anni, se la Grecia fallisce, addio soldi. Ma un portavoce della Merkel è sicuro che «il governo Papademos rispetterà gli impegni». Chissà se li rispetterà anche il Portogallo, altro Paese con l'acqua alla gola e al quale Germania e Francia stanno Fregate, sottomarini e caccia Quelle pressioni di Merkel e Sarkò per ottenere commesse imponendo la stessa ricetta: acquisto di armi in cambio di aiuti. I produttori di armamenti hanno bisogno del forte sostegno dei governi dei propri Paesi per vendere la loro merce. E i governi fanno pressione sui possibili acquirenti. Così nel mondo le spese militari crescono paurosamente: nel 2011 hanno raggiunto i 1800 miliardi di dollari, il 50 per cento in più rispetto al 2001.
Fonte: Corriere della Sera, PeaceLink

L’Italia crolla ma loro comprano cacciabombardieri

Sapevate che l’Italia è all’8° posto al mondo per spese militari, davanti anche alla Russia di putin? Sapevate che il nostro esercito professionale conta ancora 190mila uomini, tra i quali il numero dei comandanti -600 generali e ammiragli, 2.660 colonnelli e decine di migliaia di altri ufficiali- supera quello dei comandati? L’Italia è un paese di santi, navigatori e marescialli, il cui aiuto alla causa ancora non si è ben capito (se non quello alla propia causa)! E adesso la Commissione Difesa della camera è pronta a stanziare altri 500 milioni per l’acquisto di nuovi armamenti militari (http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/23/blindati-carri-armati-shopping-list-della-difesa-costa-milioni/172552/).

L’Italia crolla per le piogge e anziché stanziare i fondi per mettere in sicurezza il territorio contro il dissesto idrogeologico, continua ad arricchire le lobbies delle armi! Non siamo un paese in guerra, né ci sono avvisaglie di un possibile conflitto con i nostri vicini o di caratura mondiale, eppure, pur essendo il fanalino di coda in tutte le classifiche mondiali “positive”, siamo in grado di competere con le altre nazioni sul piano degli armamenti militari. Secondo le stime servirebbero 40 miliardi (anche solo 10 secondo altri) per rimettere in sesto il nostro territorio, mentre la spesa militare annuale si aggira sui 20 miliardi: basterebbero due anni di risparmio sull’acquisto di carri armati e fregate per missioni inutili per risanare il territorio dell’intera nazione ed evitare così le tragedie cui abbiamo assistito in Liguria e Sicilia. Sarà un caso che il miglior ministro dell’economia europeo (secondo il financial times), lo svedese Borg, nel 2007 ha costretto alle dimissioni il ministro della difesa svedese a causa dei tagli fatti al suo ministero. Tagli che hanno permessoalla Svezia, insieme ovviamente ad altri interventi, di aumentare l’occupazione e di avere l’economia più florida tra i paesi europei. Perché una scelta così semplice non la si fa da noi? Le industrie belliche italiane sono le uniche (insieme alle aziende del macho man di arcore) che in questi anni di crisi hanno visto crescere, smisuratamente, il proprio fatturato: c’è qualche collegamento tra le due cose? Di sicuro le industrie belliche sono tra i poteri forti non solo in Italia, e di sicuro l’Italia è un paese di “aderenze e amicizie”, con nota propensione alla corruzione e al voto di scambio. Si dice che a pensar male non si sbaglia mai…

Fonte: http://kontropotere.wordpress.com/

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