giovedì 27 giugno 2013

Sulla Malvagità



Ricevo e dietro richiesta pubblico un interessante breve saggio sulla malvagità scritto dal Prof. Piero Ferrari.

SULLA MALVAGITA'.

I

Afferma Cioran: “Ogni essere è un inno distrutto”. Infinite sono le strade attraverso le quali si compie il nostro annientamento. La razza umana non è stata creata affinché realizzasse le più alte aspirazioni, ma affinché queste, senza soluzione di continuità, fossero demolite e distrutte dal maglio implacabile della malvagità, e noi con esse.
Un essere che si definisca senziente non può non sentirsi soverchiare dal mistero penetrante della malvagità: esso ha segnato, con tracce indelebili, l'intero cammino delle nostre precarie e instabili esistenze, sia dal punto di vista individuale che collettivo.
Quando, poi, si analizzi la Storia, appare inconfondibilmente presente in ogni fatto, in ogni specifico avvenimento, all'interno dei punti di svolta diacronicamente più decisivi e determinanti. Maestosa, granitica, onnipossente, in realtà costituisce, con buona pace della Teologia, l'unico fattore sul quale “Dio” e il “Demonio” facciano comune assegnamento: con quel suo ghigno triste e, nel contempo, beffardo, essa li serve entrambi, senza risparmio, con zelante e ossequiosa osservanza, sin dalla fondazione del mondo. La malvagità, per sua natura, possiede il dono dell'improvvisazione, non ama le prevedibili battute da copione, ma si nutre dell'imprevisto e si esalta nella sorpresa, scegliendo, infallibilmente, i tempi d'entrata: a volte pare sonnecchiare in un angolo appartato, fingendo disinteresse, come estraniata; un attimo dopo eccola precipitarsi rapace a cogliere il frutto maturo della paziente attesa. E' il numero più pregiato del suo repertorio, ovvero, giungere all'improvviso e portare via con sé, dopo avercele fatte appena sfiorare, quelle poche e rare cose per cui valga la pena vivere. Spesso, tuttavia, non si accontenta del risultato raggiunto, poiché il ricordo può consolare della perdita subita: ecco la ragione per la quale essa ama sfigurare, deformandoli e snaturandoli fino alla caricatura, quei medesimi oggetti che avevamo amato per la loro inestimabile integrità, in modo tale che ci appaiano talmente irriconoscibili e intimamente degradati da renderli insopportabili alla memoria. Un noto protagonista del credo religioso non ha forse ammonito: “Chi ama qualcuno più di me, non è degno di me”? La malvagità presiede al disincanto del mondo, di fronte a lei non siamo che fragili marionette gettate in una trama che ci sfugge continuamente di mano.

II

La Terra, senza perdere un colpo, gira all'intorno come una giostra folle. Dall'alto, ogni tanto, viene agitato qualcosa che sembra non appartenere al nostro inferno quotidiano e noi ci sforziamo di afferrarlo, almeno per la coda, come poveri bambini. L'esito, tuttavia, è già scontato in partenza. Non potremo pagare il prezzo della corsa se non con la moneta della disillusione. I nostri creatori amano vederci soffrire e ci amano in un rapporto direttamente proporzionale alla sofferenza prodotta. Essi non sono interessati alla nostra realizzazione come soggetti desideranti, ma all'annientamento psicofisico: senza malvagità non vi sarebbe Kénosis.
La malvagità costituisce l'unica condizione dalla quale l'ordine universale non possa prescindere, perciò il “Demonio” è l'artefice più prezioso della creazione materiale, tanto è vero che le Scritture, apocrife e non, ne attestano l'incontrastato dominio.
Non dobbiamo supporre, tuttavia, che tale malefica volontà colpisca alla cieca. Essa, al contrario, seleziona con acume e mirata perizia le sue vittime e le sceglie fra le più innocenti, le più indifese, le più buone. La caratteristica fondamentale della malvagità, come abbiamo detto, è di rendersi imprevedibile: che soddisfazione otterrebbe presentandosi ad individui che già la sapessero presentire? Per tale ragione si scaglia, con impeto voluttuoso, proprio su chi, ignorandola, non la teme: non v'è miglior nutrimento e premio, per lei, di due occhi attoniti e stupefatti imploranti, inutilmente, un perché. Il ruolo a cui gli umani sono stati destinati non è quello di spiegare il male, ma di subirlo senza diritto di replica, nella misura in cui sono da questo sfigurati e orribilmente mutilati a prescindere da una consapevole avvertenza. Il male subìto lavora come il mosto nella botte, come il lievito nel pane: esso dilata a dismisura le pareti del nostro essere in cerca di rivalsa. Le colpe dei padri ricadranno inevitabilmente sui figli, nel momento in cui chi è stato vittima diverrà, a sua volta, carnefice. In tale sistema la reazione a catena della malvagità si mantiene sempre innescata e in ottimo stato di efficienza.
Il rapporto causa-effetto, ovvero, ciò che Schopenhauer individuò nel quadruplice principio ragion sufficiente, è una legge indefettibile del nostro pianeta, esattamente quanto lo è l'istinto di procreazione. La malvagità è l'unico comportamento, al pari di quello sessuale, ad aver trovato un habitat ideale per espandersi e replicarsi trionfalmente.

III

Se tutto fosse malvagio, la malvagità non avrebbe più alcun senso e sarebbe destinata inevitabilmente a scomparire per mancanza di nutrimento. Per ovviare a questo inconveniente vengono gettate nel mondo forze sempre fresche e giovani che i nostri invisibili parassiti provvedono a delibare voracemente. E', invero, sorprendente constatare come l'essenza di alcune creature appaia essere assolutamente antitetica a ciò che la Arendt definì la banalità del male e come la mentalità comune, espressa dalla massa di perdizione, nemmeno lontanamente si accorga di tale macroscopica evidenza! A cagione di ciò, le più belle aspirazioni che un cuore puro possa esprimere vengono sistematicamente calpestate, irrise e distrutte, senza il minimo senso di colpa e nella più straordinaria indifferenza. Così accade che, per una bambina, non vi sia peggiore corruttrice della propria madre e che, per un bambino, non sussista modello maggiormente negativo del proprio padre.
I genitori, storpiando le menti della prole a loro immagine e somiglianza, fin dalla più tenera età, impediscono, con la loro presunzione folle, che il “nostro” pianeta offra la benché minima speranza di redenzione; l'ottusità metropolitana delle giungle d'asfalto e il potere insinuante dei giornali e della televisione, poi, faranno il resto.
Risulta davvero singolare, per non dire raccapricciante, appurare come un essere che si apra alla vita, nel pieno possesso delle sue potenzialità, venga, in un breve lasso di tempo, ridotto al simulacro di se stesso, svuotato di tutto ciò che in lui è più importante e prezioso e, conclusivamente, amputato della sua parte migliore. Pensiamo alle infinite possibilità a disposizione di un albero per crescere ed espandersi, mediante i rami e le fronde, in tutte le direzioni; valutiamo, poi, l'eventualità che detto albero, vivendo in un ambiente antropico, sia ridotto, presto o tardi, ad un ridicolo moncone orrendamente capitozzato. La probabilità goduta dall'essere vivente appartenente al regno vegetale di conservare la propria integrità fisica risulterà pari a quella del fanciullo nel preservare l'integrità psichica, nonché l'espansione creativa che la caratterizza. La tragedia dell'infanzia (vedasi l'omonimo saggio di Alberto Savinio) o, come affermò Foucault, la sua miseria, è il capolavoro della malvagità, il suo pezzo di gran lunga più pregiato.

IV

La malvagità si impone come la vera e propria regina della Storia, il motore che tutto muove.
Si considerino le innumerevoli guerre, le stragi, i massacri, gli abusi inauditi che si sono perpetrati ininterrottamente dalla notte dei tempi fino ai giorni nostri. Essa dispone le cose in modo tale che i popoli della Terra siano sempre capeggiati dagli elementi peggiori: uomini avidi e privi di scrupoli, pronti a sacrificare le vite di milioni di individui per il proprio tornaconto personale o per pura boria. Come è possibile, inoltre, passare sotto silenzio la significativa evoluzione sviluppatasi all'interno delle strategie militari? Grazie al progresso tecnologico, dalle battaglie campali si è passati, in un batter d'occhio, al bombardamento sistematico dei centri urbani; si pensi a Dresda, a Hiroshima, a Nagasaki, completamente incenerite unitamente ai loro ignari abitanti. Qualche tempo dopo, nella guerra di Bosnia, si giunse a qualificare come patrioti un manipolo di vigliacchi che, per mesi, con il beneplacito delle organizzazioni internazionali, si divertirono a fare il tiro al bersaglio su donne e bambini prostrati dalla fame e dalla sete. Affermare che il male sia solo una privazione di bene equivale a sostenere che lo schiaffo corrisponda, semplicemente, alla sottrazione della carezza o che il fuoco non sia altro che una mancanza d'acqua: solo un manicheo rinnegato può spingersi a tali vette d'improntitudine!
Grazie agli astuti inganni della malvagità, tuttavia, l'ortodossia della menzogna ha sempre prevalso sull'eresia della verità impedendo, di fatto, la maturazione di una reale consapevolezza su tutti i piani e in tutti i settori dell'umano consorzio.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che la Terra sia un pianeta costituzionalmente irredimibile, del tutto incapace ad autoriformarsi, destinato a rimanere per sempre una bolgia infernale o una valle di lacrime e che, conseguentemente, la nostra liberazione non sia che una speranza vana e insensata.
Per giungere al loro fine “Dio” e il “Demonio” confidano nello stesso mezzo: Colui che è ci vuole annientare per salvarci, Satana, la sua immagine speculare, ci vuole annientare per dannarci. In entrambi i casi si rendono necessari una trasmutazione, uno snaturamento: all'uomo non è permesso di essere ciò che è, poiché sia “Dio”, sia il “Demonio”, disprezzano la sua natura e si servono della malvagità per trasfigurarla. Di più: la separazione tra creatore e creatura non è di natura ontologica, come insegna la Teologia classica, ma di ordine psicologico. L'essere umano, infatti, non può assistere alla sofferenza di coloro che ama senza soffrirne a sua volta e senza reagire in qualche modo; l'essere “divino”, al contrario, rimane impassibile nella sua beatitudine eterna, freddo e imperturbabile come le stelle del cielo. Davvero uno strano modo d'intendere l'amore!
Filosoficamente parlando, se il male non gode di uno statuto ontologico autonomo, come sostiene il venerato Aurelio Agostino, come potrebbe possederlo il bene, dal momento che questo non è definibile se non come la causa efficiente di tutte le cose che non sono, con buona pace di tutti coloro che, chiudendo gli occhi di fronte alla realtà dei fatti e inneggiando alla bontà divina, si ostinano pervicacemente a giustificare l'ingiustificabile. Il silenzio di “Dio” di fronte alle turpitudini più nefande, la sua acclarata latitanza dinanzi al dolore delle sue più inermi creature, avrebbero dovuto indurci a fondare, già da tempo, una Teologia della malvagità, un sapere di cui, oggi più che mai, si avverte la più assoluta mancanza.

Prof. Piero Ferrari

Dello stesso autore: Teologia della malvagità: gli Elohim

2 commenti:

  1. Ho letto con estremo interesse fino alla fine questa tua interessante trattazione Marco, anche se forse il mio stato d'animo, non estremamente positivo in questo periodo, ha facilitato il totale assenso sopra scritto...
    Blog molto profondo e interessante .
    Mi iscrivo, lo permettti vero?
    Sarei felice ricambiassi http://rockmusicspace.blogspot.it/
    Grazie e buona domenica!

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  2. Grazie nella ..... felice di ricambiare.
    Ti lascio gli auguri per un ritorno al sereno.
    buona domenica anche a te.
    Marco

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