sabato 4 aprile 2015
IL RITO TRIBALE DELLA PASQUA
Nella forma tradizionale che caratterizza la religiosità cristiana la Pasqua rappresenta l’evento cardine. Ad essa, infatti, sono correlate le maggiori e più importanti aspettative della fede espresse dal “kérigma”, per quanto attiene alla salvezza eterna: Gesù, il Messia, è venuto sulla Terra, ha patito, è morto ed è risorto. Pur celebrando l’evento straordinario della risurrezione, la Pasqua non può, tuttavia, essere disgiunta dall’orizzonte sacrificale, il quale, nel rito cattolico, assume un significato preponderante, in special modo all’atto della consacrazione eucaristica, nella quale vengono offerti al Padre, in segno di espiazione, il corpo e il sangue del Figlio ucciso sull’altare della croce.
Il carattere sanguinario di tale ritualità non sfuggì ai commentatori romani, i quali sulla scorta delle testimonianze raccolte riguardo le pratiche segrete dei primi cristiani, affermarono che questi ultimi non esitassero a sacrificare anche bambini e neonati, per poi cibarsi delle loro carni in un pasto di comune affratellamento.
La Pasqua, insomma, è un sacrificio cruento in cui la vittima, assunta una funzione apotropaica, viene immolata per la salvezza dei credenti officianti il rito.
Ciò detto, rimane da stabilire quale funzione rivesta, in tale contesto, l’immagine dell’agnello. Esso, in alternativa al capro o al montone, rappresenta l’animale prediletto per l’olocausto. In una società seminomade, dedita soprattutto alla pastorizia, come appare essere quella descritta nei testi veterotestamentari, tali quadrupedi costituivano la principale fonte di sostentamento. L’analogia tra essere umano e agnello, o capro, risulta in tutta evidenza nel celebre episodio legato al sacrificio di Isacco. Qui Jehowa ordina ad Abramo di eseguire un sacrificio umano, ovvero di immolare il figlio primogenito sul monte a lui consacrato, tuttavia, nel momento cruciale, il bambino viene sostituito con un montone.
Un altro esempio è offerto dall’antica tradizione legata alla festa dello Yom Kippur, anch’essa di estrazione ebraica. In tale ricorrenza, almeno fino al 70 d.C., anno della distruzione del secondo tempio di Gerusalemme, un agnello senza macchia o imperfezione veniva scelto per essere sacrificato. Su di esso la comunità riversava simbolicamente tutti i peccati commessi nell’intero anno. L’animale veniva portato fuori dalla città e lasciato morire di stenti nel deserto, oppure precipitato da una rupe, da qui il termine “capro espiatorio” (è interessante notare, come nei tempi più remoti, la divinità a cui veniva dedicato tale cerimoniale non era affatto il dio “ufficiale” dell’ebraismo, ma un demone del deserto, probabilmente di origine babilonese, chiamato Azazel). L’avvento del credo cristiano operò un significativo cambiamento per quanto concerne la scelta dell’oggetto sacrificale, riportando in auge il valore irrinunciabile dell’immolazione umana. L’agnello immolato per scontare i peccati del mondo è il Cristo, Figlio del medesimo Dio a cui si chiede umilmente perdono. L’umanità non avrebbe potuto salvarsi se questi non si fosse fatto egli stesso peccato, morendo sulla croce del disprezzo e dell’ignominia. La sostituzione con l’animale non è più sufficiente, le garanzie offerte da un quadrupede si rivelano inadeguate per un fine così grande, occorre, quindi, che la vittima immolata non sia solamente un uomo, ma possieda una natura superiore e divina. La teologia cristiana si spinge ancora più in là nella paradossale esaltazione del valore espiatorio del sacrificio: nell’interpretazione dell’ex fariseo Paolo, per rimediare alla colpa originaria causata dalla trasgressione di Adamo ed Eva, l’umanità doveva macchiarsi di un crimine ben più grave rispetto alla semplice sottrazione del frutto proibito: la crocifissione e il rinnegamento del proprio stesso salvatore. Ciò equivale a dire che, sulla base del medesimo principio logico, a un ladro può essere revocata la condanna per furto, a patto che stermini tutti gli inquilini della casa in cui ha rubato.
Non è mia intenzione scatenare conflitti o polemiche, né, tanto meno, perorare la causa dell’ateismo materialistico. Ho nutrito, al contrario, l’esclusivo desiderio di porre all’attenzione del lettore alcuni inconfutabili elementi di riflessione critica, facendo notare come dietro l’accomodante paravento di un generico trascendentalismo, si celino doppifondi assai oscuri, zone d’ombra appartenenti ad un atavismo tribale e sanguinario che nulla hanno a che vedere con una matura e consapevole coscienza spirituale. La differenza fra tradizione giudaico-cristiana e dottrina orfico-pitagorica sta proprio in questo: mentre la prima celebra l’immolazione truculenta del proprio dio e ne fa la conditio sine qua nell’ottenimento della vita eterna, la seconda pone fine ad ogni sacrificio umano e animale, facendo di Orfeo quel modello di Uomo alternativo che molto presto ci rammaricheremo di non aver seguito.
Claudio Riboldi.
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Non è facile trovare il senso di tutto ciò.
RispondiEliminaCome A.D. es:EMPIO il mistero su un Dio unico da scegliere tra il Padre e il Figlio. Gli Ebrei sapevano che Jahvè aveva un erede che dovevano considerare NEMICO.
Faresti MEGLIO a trovarti un Malakh ... prima di ritrovarti polvere e cenere.
I CAPRI E-SPIA-TORI SONO DUE.
Il secondo commento non l'ho pubblicato per lasciare un barlume di dubbio in chi legge che non sei completamente squilibrato ....... anche se ci sei molto vicino.
RispondiEliminaTu cerchi un senso? Ma davvero?? - Quello che tu non puoi capire, è che un senso non c'è. Comunque non per te e quelli come te. Voi siete solo carne da macello.
Il SECondo comMENTO sarebbe quello dell'arma MENTALE? Usata da SPIRITI imMONDI?
RispondiEliminaLa NETTA differenza tra MEeTE è che io CONOsco il BUON eSITO di questo che stiamo viVENDO cOME una LUCE di una STELLA già esplosa da TEMPO.
IO SONO ... carne da macello, di quella STESSA MACELLAZIONE di CHI non si a.C.cORGE di macellare anche il PROPRIO Figlio tra i suoi agnellini.
Comunque mi tieni sempre sveglio quando PASSO di qui, a differenza di tanti MEDI-OCRI.
Riconoscere il valore del proprio "nemico" equivale a trovarsi sulla soglia in cui abita. "E' per questo che non sei del tutto morto."
RispondiEliminaABITO la stessa casa, ma lui è conVINTO di essere il PADRONE.
RispondiEliminaLa lascerò SOLO quando riUSCIRA' a cacciarmi via.
E pensare che potrei essere io a non farlo più rientrare.
Vabbè ... alla prossima.
Sei così preso dalla frenesia di prevalere che dimentichi di accendere i neuroni. Noi non abitiamo la stessa casa, e tu non puoi lasciarmi fuori dal momento che sei tu che vieni da me. L'ansia di prevalere è la tua più grande debolezza. Devi imparare l'equilibrio, altrimenti continuerai a vedere lucciole per lanterne.
RispondiEliminaE' il terzo comMENTO che scrivo.
RispondiEliminaNon mi è perMESSO riVELARTI quello che ho acQUI-SITO INIZIANDO da QUI ... dieci anni fa.
Vorrei restituirti qualcOSA.
VediAMO un po' SEMELA passa questa:
"GUAI AMEN se non AVEsSI il SENSO del PRE-VALERE su questo MONDO".
Io non diMENTICO CHI, in modo anche sCORBUtico, mi ha risposto alle MIE PRO-VOCAZIONI.
Ti devo dire GRAZIE?
Mi disPIACE ma MELO sono GUADAgnato.
La differenza tra un Figlio della Luce e un FIGLIO anche di QUESTO MONDO sta in una GRANDE differenza.
Per questo SONO questi gli EREDI dei REGNI UNI-VERSALI.